"La caduta e l’arte di atterrare"
Seduto al mio tavolino preferito con un Cosmopolitan (ok, è un cappuccino, ma lasciatemi sognare), mi ritrovo a pensare a una sensazione che conosciamo tutti: la caduta. Non quella letterale, con sbucciature alle ginocchia e figure poco eleganti. Parlo di quel momento in cui la vita ti sfila il tappeto da sotto i piedi, lasciandoti sospeso tra il terrore e l’eccitazione di ciò che potrebbe accadere dopo.
Perché, diciamolo, c’è sempre un attimo – quello in cui il cuore salta un battito – in cui ci sentiamo persi. Una rottura, un licenziamento, un errore troppo grande per essere ignorato. Siamo programmati per temere la caduta, perché implica perdita di controllo, vulnerabilità. Eppure, se ci pensiamo bene, tutte le cose migliori della vita accadono proprio lì, nel vuoto tra ciò che era e ciò che sarà.
Le crisi sono opportunità travestite da catastrofi, e il modo in cui atterriamo fa tutta la differenza. Possiamo cadere come una diva in un film anni ’50, con grazia e consapevolezza, o possiamo schiantarci senza stile, dimenticando che anche il caos ha una sua estetica. Ma la verità è che nessuno di noi può evitarlo.
Forse l’errore è pensare che dobbiamo sempre rimanere in piedi. Forse, invece, la magia sta proprio nell’imparare a cadere bene, senza paura di sporcarsi le mani, con la fiducia che, una volta toccato il fondo, c’è solo un modo per andare: in alto.
E allora, la prossima volta che sentiamo il vuoto sotto i piedi, invece di chiudere gli occhi e aspettare l’impatto, potremmo chiederci: E se questa fosse l’occasione perfetta per volare?
Con empatia...
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